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Scheda critica del film:

  

In viaggio con Jacqueline

(La vache)

Il Regista

Il regista Mohamed Hamidi, di nazionalità franco-algerina, è nato a Bondy (Francia), il 14 novembre 1972.
Nella sua carriera ha svolto attività di scenografo e sceneggiatore.
Nel 2000 E’ stato cofondatore del Bondy Blog, blog on-line che si occupa di narrare e analizzare le diversità etniche della Francia facendosi portavoce dei quartieri problematici nei dibattiti che animano la cultura e la società francese.
Dal 2013, con l’esordio di Né quelque part, film selezionato al Festival di Cannes, inizia la sua carriera di regista cinematografico: La vache è la sua seconda prova registica.

 

In viaggio fra le contraddizioni
Il cinema francese ha nella propria storia di prodotti destinati al più vasto pubblico un film che molti ricordano per le risate ma anche per la commozione.
Si tratta diLa vacca e il prigioniero di Henri Verneuil in cui Fernandel interpretava il ruolo di un prigioniero francese dei tedeschi che fuggiva da un campo di prigionia portandosi dietro una mucca.
Il film viene citato esplicitamente da Hamidi e, in questo modo, il regista dichiara la sua linea narrativa. Sarebbe infatti facile liquidare In viaggio con Jacqueline utilizzando la ormai onnicomprensiva e superficiale definizione di 'buonista'. Perché Fatah in Francia trova sempre persone disposte ad aiutarlo (polizia a parte). Anzi, chi lo tratta male al suo arrivo è il cognato che si è 'sistemato' e non vuole averlo tra i piedi. Gli altri trovano il modo di favorire il suo percorso verso Parigi. Non è certo la Francia di Marine Le Pen quella che si trova davanti, neppure quando i media iniziano ad occuparsi di lui, novello Forrest Gump che però una meta ce l'ha.
Il film non risparmia ironie sulla mentalità algerina (mentre i maschi occhieggiano su Internet donne appetibili le donne sono sotto stretto controllo degli uomini) ma ciò che lo rende originale è proprio il clima di festa giocosa, anche se costellata di equivoci e incidenti, che induce lo spettatore, che non sia già schierato in modo pregiudizievole, a riflettere sul fatto che generalizzare è sempre e comunque un errore. Fatah ha un sogno come ce l'hanno tanti di coloro che cercano di raggiungere l'Europa. La quale ha i suoi problemi (e la protesta degli agricoltori è lì a testimoniarlo) ma non sarà certo demonizzando tutto il mondo musulmano che si sconfiggerà l'Isis. Fatah e la sua Jacqueline ce lo ricordano con un sorriso e un muggito.
(Giancarlo Zappoli, mymovies.it)

Un Candido del nostro tempo
Hamidi cerca di far comunicare le sue due culture; dopo un primo film, Né quelque part, in cui seguiva un francese nel viaggio algerino alla scoperta delle radici dei genitori, questa volta propone un percorso inverso. L’Algeria è quella costola - per più di un secolo - della grande République, che nonostante i continui battibecchi parla sempre della Francia e la guarda con rispetto e vicinanza, non fosse che per i milioni di maghrebini che hanno cercato fortuna nell’esagono. Fatah sembra catapultato nella Francia dolce del lungo dopoguerra, negli anni ’50 simbolizzata dai film con Fernandel, di cui uno, La vacca e il prigioniero, diventato un simbolo delle campagne rigogliose e della vita che tornava a scorrere. In viaggio con Jacqueline è un film che rinuncia ai tempi frenetici della conoscenza casuale, della maschera scettica di una quotidianità frettolosa per rivendicare tempi lunghi, conversazioni inattese che diventano serate intere, con la voglia sincera di conoscere chi si ha di fronte. In questo è una boccata d’aria fresca, un omaggio alla natura e alla campagna, senza essere manifesto luddista contro il progresso tecnologico; tutt’altro, è proprio grazie alla televisione, ai social e a youtube che questo viaggio improbabile di un Candido catapultato nel XXI secolo assume valenza nazionale, attira le simpatie di tante persone che ne sostengono la cavalcata, come Poulidor in cima al Mont Ventoux. Un’avventura umana scandita da incontri sorprendenti, quella di In viaggio con Jacqueline, alcuni proprio per la loro normalità: dal cognato bizzoso che nasconde a casa la famiglia che si è creato a Marsiglia, interpretato dal più famoso comico franco maghrebino, Jamel Debbouze, al nobile di campagna decaduto e molto depresso, un empatico Lambert Wilson. In fondo è una questione di ritmi, e entrambi alla fine si allineano a quelli mediterranei di Fatah, imparano a coglierne gli slanci di un’umanità primordiale, superata l’iniziale sorpresa. Hamidi ha combinato tre attori e tre stili comici completamente diversi, arricchendo questa fiaba camminata di toni diversi; a suo modo anche così propone una parabola sulla diversità come ricchezza, sull’ascoltare chi vive diversamente da te, superando i pregiudizi. Impossibile non tifare per il gracile protagonista, una sorta di Capannelle francese, interpretato con straordinaria umanità da Fatsah Bouyahmed. Amante della commedia all'italiana, come si nota nella scrittura a quattro mani di una lettera che rimanda a Totò e Peppino, Hamidi non propone niente di nuovo o di sconvolgente, ma una sana pausa per ricaricare la speranza candida, ma a portata di mano, di una vita condivisa senza reticenze con chi respira insieme a noi l’aria, troppo spesso cinica e malsana, di questo nostro pianeta.
(Mauro Donzelli, comingsoon.it)

Il “naif” come strumento critico
“Poire per Jacqueline”. Capita raramente di vivere un film, percepirlo dentro all’anima, sentirlo acceso come un fuocherello che riscalda il cuore.[…] Il regista Mohamed Amidi dice di essersi ispirato a Una storia vera di David Lynch, come a La vacca e il prigioniero, film del 1959 diretto da Henri Verneuil con Fernandel. Così se Amidi di Verneuil ripete il quadro ravvicinato e il legame di affetto del duo protagonista, di Lynch recupera quella malinconica pervicacia del viaggiatore che si riempie gli occhi di stelle viste nel suo percorso, più che un qualsiasi narcisistico scopo finale del viaggio. E allora, sulla strada, Fatah ritrova un mondo fatto di qualche sospetto e di mille aiuti, di incontri nati storti e di amicizie fraterne. Lui, pelato, mingherlino e con gli occhialetti, più che un bovaro sembra un Mister Smith qualunque, un puro dal cuore d’oro che nel suo cammino con la vacca incontra persone che lo ospitano, lo ascoltano, lo fanno ubriacare, gli danno riparo, lo aiutano. Un conte, una contadina, un cognato immigrato, e lui va avanti, diventa perfino, e per caso, soggetto popolare sui social, nei talk e nei tg. Quella camminata lunghissima non ha una meta vera, non c’è un obiettivo narrativamente spendibile, perché il cammino del protagonista è semplicemente l’essenza del cinema: il sogno. […] “Spesso, durante la stesura della sceneggiatura, mi è stato detto che ero troppo naïf o che mi stavo concentrando troppo sui buoni sentimenti”, ha spiegato il regista Amidi. “In ogni caso, ho voluto mantenere questo approccio fino alla fine. Come nelle Lettere persiane di Montesquieu, quando qualcuno dotato delle migliori intenzioni e di un atteggiamento positivo arriva in un ambiente non familiare, raccoglie quello che semina. Volevo che Fatah incontrasse persone di mentalità aperta con cui fosse possibile uno scambio di punti di vista. Con una sorta di grazia, semplicità, gentilezza e mancanza di pregiudizi, questo personaggio è capace di dire qualsiasi cosa. E la gente lo adora per questo”. Distribuisce per l’Italia Teodora che, lasciatecelo dire, mostra pochi titoli ma che quasi mai ne sbaglia uno. (Davide Turrini, IlFattoQuotidiano, 22 marzo 2017)

-scheda tecnica a cura di Mathias Balbi

 



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