Ultras

 

Regia:Francesco Lettieri
Sceneggiatura:Peppe Fiore
Fotografia:Gianluca Palma
Montaggio:Mauro Rodella

Interpreti:Aniello ArenaCiro NaccaSimone BorrelliDaniele VicoritoSalvatore PellicciaAntonia Truppo

Produzione:Un film originale Netflix in associazione con Mediaset, prodotto da Indigo Film<
Distribuzione:Indigo Film (Cinema), Netflix
Paese:Italia, 2020
Durata:108 min

Ultras, il film diretto da Francesco Lettieri, è ambientato a Napoli e racconta la storia di un'amicizia nata durante un campionato di calcio.
Sandro (Aniello Arena) è un uomo di mezza età, a capo della tifoseria degli Apache, con i quali si ritrova a ogni incontro tra le curve degli stadi. Insieme al suo gruppo di ultras Sandro ne ha passate tante, tra violenti scontri e risse, nelle quali prevale un'unica passione, il calcio, e un valore da portare alto, l'orgoglio per la propria squadra.
Purtroppo la violenza durante le partite gli ha portato anche un daspo, un divieto di accedere alle manifestazioni sportive, che lo tiene lontano dagli stadi, permettendogli allo stesso tempo di riflettere su cosa significhi essere un tifoso sfegatato. Inaspettatamente Sandro sente che forse quei valori, per i quali lui e il suo gruppo hanno tanto lottato, non sono poi così importanti e avverte il bisogno di qualcos'altro, come una compagna e magari poi una famiglia, soprattutto quando incontra Terry (Antonia Truppo).
Ma Sandro rappresenta una guida, in particolare per gli Apache più giovani, come il sedicenne Angelo (Ciro Nacca). Da quando ha perso suo fratello a causa di uno scontro di tifoserie, il ragazzo vede negli ultras una seconda famiglia. Inoltre, le ultime cinque settimane del campionato lo porteranno a legarsi ancora di più a Sandro, che nel suo cuore ha preso il posto del fratello morto.

Il regista

Francesco Lettieri è nato a Napoli nel 1985 ed ha mosso i primi passi dietro alla telecamera realizzando cortometraggi. Dal 2010 ha iniziato a girare videoclip musicali: la lista dei musicisti con cui ha lavorato è davvero lunghissima. Liberato, Calcutta, Noyz Narcos, Carl Brave x Franco 126, Emis Killa, Thegiornalisti, Motta, Giovanni Truppi, Fast Animals and Slow Kid, K-Conjog, Nada, sono solo alcuni di quelli che hanno messo nelle mani del regista le proprie canzoni. Ed a giudicare dai risultati, hanno fatto bene. I videoclip di Lettieri sono mini-film, piccoli capolavori indie con tanti riferimenti cinematografici. Ed infatti i festival internazionali se ne sono accorti: il Pesaro Film Festival, il Festival D’Annecy ed il Milano Film Festival gli hanno dedicato delle retrospettive nelle loro programmazioni. Ovviamente sono arrivati anche i premi: nel 2012 e nel 2016 il regista ha vinto il premio PIVI per il miglior video indipendente, per Qwerty Cosa mi manchi a fare

 

Non è la storia degli Ultras, è una storia degli Ultras. Per di più fortemente romanzata e dai risvolti prevedibili.  Quello che colpisce, ancora una volta, è la tecnica. Una regia consapevole che dà il meglio di sé in una fotografia a tratti anaglifica, quindi rossastra e cianotica, a tratti calda e un po’ retrò, che cattura l’occhio dall’inizio alla fine. Gli Ultras sembrano, insomma, la scusa per raccontare una vicenda verosimile che sottende qualche messaggio però estrinseco. Lo dimostra quel dolce mosaico di apparenti fuoriscena sulle dolci note napoletane di un’artista di strada, giusto a mezz’ora dalla fine del film.

Le singole solitudini e i reali affetti di quei personaggi ci investono quasi cogliendoci impreparati, in uno slancio patetico ed empatico che ce li fa sentire più vicini, fragilmente umani. Sì sono gli Ultras, ma sì, sono anche esseri vulnerabili e impastati di vita, come chiunque altro. Allora è forse lì che riconosciamo Lettieri, in questo affresco sincero. O forse è proprio lì che ha appena fatto il suo salto di qualità, che approda platealmente al cinema vero e proprio, rendendocene inevitabilmente testimoni. (Sara Gelao, Mymovies)
Il tema dello scontro generazionale, del furore dei giovani contro una relativa saggezza raggiunta dai vecchi, con in più la confusione dei giovanissimi che agiscono d'impulso dominati dalle passioni, sembra essere inevitabile nell'attuale filone partenopeo del cinema italiano.

Ultras non fa eccezione, ma l'attenzione antropologica con cui la vicenda è calata nel mondo della tifoseria, con i suoi riti, le sue facce e il suo rapporto con la legge, conferisce al film la sua principale ragion d'essere. Il finale poi può sembrare esagerato, ma basta ricordare il caso di Gabriele Sandri del 2007 per rendersi conto che non è affatto fuori dalla realtà. Infine la chiusura circolare del film e il suo sguardo lirico verso il mare, che prende implicitamente una posizione di distacco dall'umana follia, sono una conclusione efficace.
(Andrea Fornasiero, mymovies)

È un'opera prima che ha già fatto discutere quella di Lettieri, suscitando diverse polemiche e dividendo non poco pubblico e critica.
Non è un film esente da difetti, soprattutto a causa di un'estetica che sa troppo di già visto e che impedisce a questo prodotto di distinguersi dai molti altri inerenti al sottobosco criminale partenopeo, realizzati tanto per il grande schermo che per la televisione. Nonostante questo, però, «Ultras» è un film di forte intensità, soprattutto per come si concentra sulla parabola umana del protagonista e dei vari personaggi, piuttosto che limitarsi a raccontare gli eccessi violenti e il tifo calcistico.

Il protagonista Aniello Arena e le musiche di Liberato
La scrittura del personaggio principale è notevole, ma il merito va anche all'ottima prova di Aniello Arena, già protagonista di un grande film come «Reality» di Matteo Garrone, regista che sembra uno dei riferimenti più evidenti dell'esordiente Lettieri.
Quest'ultimo, nonostante un approccio a tratti derivativo, dimostra una profonda consapevolezza nell'utilizzo la macchina da presa, in particolare nella sequenza d'apertura e in quella di chiusura, che incorniciano al meglio il racconto.
Alla buona riuscita del film, contribuisce non poco l'affascinante colonna sonora di Liberato, misterioso cantante napoletano di grande successo. Tra le canzoni create apposta per il lungometraggio, una menzione speciale per «We Come From Napoli», realizzata da Liberato insieme a Robert Del Naja dei Massive Attack e Gaika.
Da segnalare che Lettieri prima di esordire alla regia con questo film, aveva diretto diversi videoclip, tra cui figurano anche quelli dello stesso Liberato.
(ilsole24 ore)

Intervista ad un vero ultrà:

  • Guardando con occhi imparziali il film, ti è piaciuto?
    «Dovessi fare una breve recensione del film Ultras, beh, la regia è spettacolare, ma la pellicola… è un film da ragazzini.. veramente banale. I giovani che si ribellano ai vecchi del gruppo, il più giovane che vuole apparire e vendicare il fratello.. la morte del vecchio che da spazio al nuovo: una trama vista e rivista, non solo nel genere ultras»
  • C’è una scena che ti ha colpito profondamente?
    «La scena in cui Sandro viene sputato in faccia dal ragazzino e lui risponde con uno schiaffo, offendendo il fratello morto. Alla fine Sandro vuole tenerlo fuori da questo mondo più per fare un favore a sua madre, visto che si sente in colpa per la morte di Sasà. Ecco l‘impostazione sbagliata del film: considerare il mondo ultras come un mondo pericoloso, perché non si è raccontato in realtà cosa significa essere ultras»
  • Cosa significa per te essere ultras?
    «Essere ultras significa essere famiglia sette giorni su sette. Il calcio è un pretesto. Significa godere nelle gioie, aiutarsi nei momenti più tristi. Significa solidarietà, azione.. tutte le più belle sensazioni che ci stanno. È una famiglia che ti scegli. È come avere un migliore amico, ma il tuo migliore amico non è solo una persona, è un gruppo di persone. Siamo un’unica anima e un unico corpo. Quando dico che il calcio è un pretesto, intendo che il Napoli è un mezzo per vivere la propria passione. Finiti quei 90 minuti, devi contare su te stesso e sul gruppo. Il risultato sportivo non è alla base dell’essere ultras. Alla base c’è amare la maglia, i propri colori e la propria città»
  • Perché l’avvertenza del regista ad inizio film?
    «Essere ultras è essere non apparire.. per questo non c’è nulla da rivendicare»
  • Cosa c’è oltre allo stereotipo del film? In cosa ti rivedi?
    «L’unica cosa in cui mi rivedo è lo stare insieme, ma non come quello del film: droga e musica elettronica. Non è così. Non è una ricerca continua per il “bordello” ed il divertimento, veniamo dipinti come tossici e violenti. Una cosa che mi ha fatto veramente girare le p**** è lo stereotipo dell’ultrà che usa le lame come quando il Mohicano racconta dello scontro con i Bergamaschi, quando si sono sempre distinti per correttezza»
  • Perché non si dovrebbe vedere questo mondo nel modo in cui viene strumentalizzato? Cos’è che spinge gli ultrà ad usare la violenza con altri?
    «Perché se non vivi l’essere ultras e ti limiti a vedere gli scontri in tv, è normale che quel film ti dia la sensazione del “teppismo”. Ma non è teppismo: è una sottocultura, un modo di vivere. È come vedere per uno di fuori Gomorra, ma sappiamo che Napoli non è Gomorra. La violenza, che è espressione dell’odio, fa parte dell’essere ultras. Le rivalità nascono per vari motivi: territoriali, sociali e politici. Un esempio è la rivalità tra i tifosi del River Plate e il Boca Juniors, della stessa città, ma di classi sociali differenti. La discriminazione crea odio, e l’odio sfocia nella violenza, lì dove le parole non arrivano»
  • Tu come avresti sviluppato il film? «Ovviamente in una pellicola non puoi raccogliere cosa significa essere ultras, ma non solo perché non lo vivi, ma perché non si parla neanche delle cose buone. Ci si dimentica della beneficenza degli ultras del Napoli: abbiamo attivato campagne per aiutare l’Ospedale Cotugno, per la Schiana di Pozzuoli. Perché non si parla di questo? Perché non si parla dei genoani e dei sampdoriani che spalano il fango insieme per difendere la propria città?»
  • Ultima domanda: se volessi invitare una persona nel mondo ultrà, come la invoglieresti? «Nel nostro gruppo non c’è quella visione piramidale-gerarchica come si è vista nel film: i più giovani vengono aiutati e spronati… non c’è la violenza del Gabbiano… quindi gli direi “vieni a stare con noi, vieni a vedere la partita con noi e passa il dopo partita con noi”. Noi non siamo quel gruppo, noi siamo una cosa sola»

(liberopensiero,it)



© 2019 2020 Cineforum Genovese