Commento
L’intrusa è un’eccezione nel panorama cinematografico non solo nazionale - in cui sembra essersi persa quella passione ‘civile’ che ha in passato reso grande il nostro cinema a favore di prodotti ben confezionati, simpatici e a volte anche interessanti ma lontani dal quotidiano della gente - ma anche internazionale spesso più sensibile alle tematiche sociali trattate peraltro in modo didascalico, moralistico oppure ‘nascoste’ nel noir, nel poliziesco, nel fantasy o nell’horror (divenuto sempre di più lo specchio delle paure consce o inconsce della società attuale). Il secondo lungometraggio non documentaristico di Leonardo di Costanzo è un’opera apparentemente semplice, godibile e non urlata, ma la cui visione lascia una traccia profonda nello spettatore: i suoi personaggi restano (non solo per la magistrale interpretazione di Raffaella Giordano) nella memoria insieme ai quesiti, anche scomodi, che pone. L’intrusa non è un film di camorra o sulla camorra, ma sulla condizione umana di quanti giornalmente devono convivere, difendere se stessi, la propria famiglia e la società in cui vivono non tanto dai soprusi o dalla paura dei soprusi ma dall’inquinamento psicologico provocato da una realtà in cui raramente bene e male sono nettamente identificabili. Il film è ambientato a Napoli, ma potrebbe esserlo in qualsiasi altra località in cui è forte la presenza della malavita organizzata e i quesiti posti sono presenti e importanti in qualsiasi contesto sociale riguardando come ciascuno di noi si pone verso gli altri e quelli che riteniamo ‘diversi’. L’interrogativo fondamentale è se è giusto negare aiuto a Maria e ai suoi due bambini perché moglie (fuggitiva) di un camorrista assassino. O perché ospitarla può essere un pericolo per gli altri bambini: in questo caso si teme un’eventuale ritorsione della camorra o la decenne figlia di Maria perché vissuta in un ambiente di camorra? Di Costanzo giustamente non fornisce risposte perché devono nascere dal cuore di ciascuno. La presenza di Maria provoca una frattura tra le mamme che la vogliono cacciare considerandola simbolo di quanto con sacrificio silenziosamente combattono ogni giorno e Giovanna il cui unico riferimento è dare aiuto e sollievo a chi ha bisogno o si sente in pericolo, agli ultimi, agli emarginati, ai diversi indipendentemente dal loro pregresso. Siamo soliti dividere il mondo in buoni e cattivi secondo parametri a volte oggettivi, molto spesso soggettivi e basati su pregiudizi, se non addirittura su interessi personali. Ma anche se bene e male fossero due mondi senza sfumature sarebbe giusto negare aiuto a chi lo chiede soffocando sul nascere un eventuale percorso di redenzione? Negando aiuto a chi ne ha bisogno non entriamo noi stessi a far parte di quel mondo che in buona fede pensiamo di combattere? Non ci si protegge dal male creando dei muri e rinchiudendosi in cittadelle. Se questo è - secondo me - il tema centrale posto da Di Costanzo, altri non meno importanti emergono dalle immagini del film: primo tra tutti la solitudine. Innanzitutto, quella eroica di Giovanna (e dei tanti come lei) che hanno scelto di battersi per gli ideali di giustizia, aiuto al prossimo, eguaglianza… non a parole o sulle comode poltrone di un salotto (come molti di noi), ma con i fatti e rischiando di persona, ricavandone spesso (quando va bene) indifferenza se non il dileggio o la messa all’indice come purtroppo ci mostra l’indegna campagna contro le ong che cercano di salvare vite umane nel Mediterraneo. Poi anche la solitudine di chi vive in quartieri dominati dalla criminalità organizzata cui lo Stato riesce a fornire solo risposte ‘militari’ fondamentali, ma che non contrastano le cause alla radice: finché per esempio ai giovani non vien data la possibilità di lavoro e di guadagno ben difficilmente possono essere estirpati i fenomeni denunciati da Saviano ne “La paranza dei bambini”. Il film alla fine lascia un altro interrogavo: chi è l’intrusa? Giovanna che viene dal nord seguendo i propri ideali, o Maria la ‘pecora nera’ che cerca asilo nel ridotto delle ‘pecore bianche’ o La Masseria che con la sua esistenza, con la sua efficienza e con l’attività dei suoi volontari disturba lo status quo che fa comodo alla camorra e mostra l’insufficienza dell’azione dello Stato quando si limita alla pur necessaria repressione?
scheda tecnica a cura di Salvatore Longo |