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Scheda critica del film:

  

I figli della notte

 

Il Regista
Andrea De Sica, nato a Roma il 30 dicembre 1981, è figlio del compositore Manuel De Sica e della produttirce Tilde Corsi. Da ragazzo collabora come assistente volontario sul set di The Dreamers di Bernardo Bertolucci. In seguito è assistente alla regia per La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek e Vento di terra di Vincenzo Marra. Dopo gli studi in Filosofia presso l'Università degli Studi Roma Tre, nel 2009 si diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel 2010 collabora al documentario Foschia pesci Africa sonno nausea fantasia di Daniele Vicari. Dopo aver collaborato alla regia della serie animata Mia and me, nel 2013 gira il suo primo documentario: Città dell'uomo, un documentario per la tv sulla storia dell'imprenditore Adriano Olivetti.
Con I figli della notte, suo primo lungometraggio, vince il Nastro d'argento al miglior regista esordiente nel 2017.

La critica
"Siete la classe dirigente del futuro, non dimenticatevelo" tuona il preside del collegio dai tratti esternamente imperiali e internamente kubrickiani, tanto di Shining quanto di Arancia Meccanica per alcuni "giochetti" sulle matricole. Esso si staglia nel bianco abbacinante di un incipit fortissimo, evidente contrasto con quel nero notturno e violento che andrà a raccontare.
I rampolli sono diversamente viziati, la disciplina militaresca serve "a ritrovare il giusto passo", anche difendendosi da un bullismo controllato con videocamere nascoste. Il Grande Fratello costituito da "angeli" ex alunni e ora impiegati vede tutto, controlla tutto: scappatelle e tentativi di fuga, miseria e nobiltà di comportamento. "Io non vi spio, io imparo a conoscervi" è la giustificazione degli educatori non dissimili dai manipolatori di Hunger Games. De Sica indugia con coraggio sui volti e i corpi di questi teenager sulla via della disumanizzazione, consapevole che nulla di buono è loro destinato. Il suo "Bildungsroman" diviso fra il giorno e la notte invernali ha il sapore di un già visitato probabilmente attraverso letture e visioni suggestive alla materia, ma non è privo di una sua forza intima e coraggiosa.
La svolta horror - Stephen King docet - arriva con la scoperta dell'ultimo piano, ove ad attendere Giulio e soprattutto Edo é una porta sigillata: "non aprite quella porta" verrebbe da esclamare, inutilmente. Al di là regnano i fantasmi che profumano di Carpenter, di Argento ma anche degli orrori più profondi alla Lynch, Cronenberg e all'Haneke di quei Funny Games glaciali come alcune inquadrature adottate da De Sica. Gli adolescenti sono vittime di un sistema ineluttabile, anche i meglio intenzionati come Giulio, giacché il vero burattinaio è il denaro, capace di trasformarli in mostri violenti e vigliacchi. "Là fuori è anche peggio": loro non lo sapevano ma imparano presto a comprenderlo.
L'occhio addestrato può trovare una certa prevedibilità complessiva nel racconto in cui ogni nemesi immaginata è puntualmente confermata, e tuttavia questo è perdonabile.
(Anna Maria Pasetti ,23 Novembre 2016, mymovies)

La riflessione sociale e antropologica che il film ci fornisce è sin troppo evidente e letterale, con diverse “forzature” narrative che incanalano ogni interpretazione su binari prestabiliti. E allora dovremmo affidarci alle immagini per cercare la vera notte del non dicibile, per poter sabotare quel meccanismo, ma anche lì alla fine tutto è detto, tanto è visto, c’è poca notte in quelle notti. Sia chiaro: Andrea De Sica costruisce con certosina pazienza le sue inquadrature, gira bene e ha l’audacia non così scontata di tentare un percorso che unisca il genere all’alta autorialità come il cinema italiano non sperimentava da tempo . Insomma c’è del buono nel suo film, perché ha l’ambizione di creare un’esperienza sensoriale e percettiva prima che narrativa. Ma questa urgenza indubbiamente sincera non basta, perché i modelli di De Sica (in primis proprio Bellocchio e Lynch) aprono i loro film ad abissali e insondabili verità, giocano sempre sui significanti delle loro immagini e sfuggono straordinariamente ai blindati significati. Mentre I figli della notte non ha ancora il coraggio e/o la maturità per immaginare il cinema a cui vorrebbe aspirare. Insomma queste geometriche traiettorie non lasciano molto spazio di intervento per uno spettatore che deve prendere o lasciare un pacchetto talmente ben confezionato da rimanere sempre e comunque “chiuso”. Distante.
(Pietro Masciullo, 1 Giugno 2017, sentieriselvaggi)

Un collegio in alta montagna, isolato dal resto del mondo, è cornice e vero protagonista dell’opera prima dell’allievo del Centro Sperimentale Andrea De Sica. I figli della notte è la storia di formazione e iniziazione di un ragazzo di una famiglia benestante, parcheggiato come i suoi compagni in una scuola, fabbrica della nuova classe dirigente. Piena di regole e di segreti, tiene a freno i propri alunni con un guinzaglio molto corto, opprimendoli con un clima di terrore. Una vera prigione che nega l’utilizzo di internet, concede solo sporadiche telefonate; occasione per ricreare un’atmosfera sospesa nel tempo, poco contemporanea, in cui sviluppare una storia piena di riferimenti e referenti masticati e rielaborati con passione da De Sica. Sue anche le musiche, in cui mette a frutto il talento ereditato dal padre Manuel, scomparso alcuni anni fa, a cui il film è dedicato.
I figli della notte è Interamente girato negli splendidi scenari dell’Alto Adige, in un hotel dismesso di fine ‘800 che ricorda l’Overlook Hotel di kubrickiana memoria. Non mancano echi del cinema di Lynch, perfino cromatici, in una favola nera da cui sono totalmente assenti i genitori, troppo impegnati a far soldi e progettare eredi capaci di fare altrettanto; gli unici adulti sono gli insegnanti della scuola, vestiti tutti uguali, spesso anche loro ex alunni della scuola, sorta di replicanti col compito di formare il manager perfetto, istigandoli alla trasgressione, al peccato originale necessario per prepararli al cinismo del mondo spietato che li aspetta.
Proprio questa micro società è una delle dinamiche più interessanti de I figli della notte, una piccola Sparta in cui la violenza - psicologica e non - ha un ruolo importante, in cui i rapporti troppo stretti ed esclusivi con i compagni sono scoraggiati in nome di uno spirito di corpo, della lobby oligarchica. Come ogni favola un ruolo importante lo riveste la fuga, lo spingersi verso l’ignoto e il proibito, rappresentato qui da un locale di spogliarelli in cui vanno il giovane protagonista, Giulio, insieme all’inseparabile amico Edoardo. Hanno trovato la strada come novelli Pollicino, e Giulio ha anche dato un bel morso alla mela del peccato, la bella prostituta ventenne Elena.
Se De Sica dimostra di saper gestire il ritmo di una storia di genere, costruendo un’atmosfera intrigante senza essere troppo derivativa, convincono meno alcune interpretazioni e qualche dialogo stonato, sospendendo in alcune occasioni l'immedesimazione e la credibilità dello sviluppo narrativo.
(Mauro Donzelli, 30 Maggio 2017,Comingsoon)

La trama assomiglia a quella de Lattimo fuggente, rispetto al quale azzera o quasi i momenti di leggerezza per amplificare quelli che descrivono il tormento interiore dei due giovani protagonisti.
De Sica ha dichiarato di essersi ispirato ai suoi anni di liceo per raccontare una storia di (de)formazione fondata sull’abbandono vissuto da molti adolescenti. Attraverso un linguaggio allegorico, fatto di fantasmi dal passato e paure inconsce, egli realizza una favola nera sulla quale aleggia per l’intera durata un senso di torbido unito ad un altro di violenza, più psicologica che materiale. Pur essendo all’esordio, l’autore dimostra di saperci fare nel creare questo genere di atmosfere, così come dimostra di possedere per buona parte quella visione d’insieme necessaria a chi intende rivestire il ruolo del regista, come si può apprezzare dalla cura non soltanto per l’inquadratura, ma anche per la fotografia, per l’assemblaggio di immagini e musiche, e per la direzione degli attori i quali, pur giovani e inesperti, non sfigurano. Peccato che abbia trascurato un aspetto altrettanto fondamentale come la sceneggiatura, le cui lacune penalizzano l’intero film compensandone in negativo i buoni spunti.
E’ troppo pieno di cinema altrui per aver già trovato, al primo film, il proprio. Viste le premesse pensiamo gli riuscirà, o quanto meno glielo auguriamo. Per adesso però il risultato è non soltanto un lavoro difficile da catalogare fin dal genere di appartenenza, ma un frullato di richiami ad altri film, più o meno noti. Appare un po’ forzato, per fare un esempio, mostrare Giulio accovacciato per terra nell’atto di lanciare una pallina contro il muro e riprenderla allo scopo di alludere al suo desiderio di “grande fuga” in stile Steve McQueen. La citazione non permette mai di capire se chi vi ricorre lo fa per rendere un omaggio, trovare una scorciatoia per esprimersi o nascondere la mancanza di idee. Quel che è certo è che utilizzandola in modo così ampio ed eterogeneo si rischia di rimanerne prigionieri e di rendere il film frammentario al punto da far perdere di vista la personalità del suo autore e quel che vuole trasmettere. A lungo ci si domanda quindi dove voglia andare questa storia e perché. La risposta spunta forse nell’ultima scena. Anche in questo caso con una citazione, di certo la più sentita dall’autore. Il tuffo del protagonista, qualche tempo dopo i fatti, nella piscina della sua bella villa e persino la dedica che chiude il film (che là era a Vittorio e qui è a Manuel De Sica) sono un riferimento chiarissimo alle immagini finali di C’eravamo tanto amati e dunque al suo intento di denuncia contro il cinismo di chi comanda e l’influenza che denaro e potere riescano ad esercitare anche sui giovani più idealisti. Un tema però già sviscerato in ogni modo, non soltanto dal film di Scola. Nel riproporlo con abbondanza di riferimenti a grandi lavori del passato si rischia di apparire superflui oltrechè non all’altezza dei modelli. Parafrasando un vecchio slogan: “una citazione ci seppellirà”.
(Giovanni Mottola, 15 Maggio2017, Ilcineocchio)

scheda tecnica a cura di Stefano Bona

 



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