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Scheda critica del film:

  

CAFARNAO – CAOS E MIRACOLI

(Capharnaüm)

La Regista
Nadine Labaki (Baabdat/Libano, 1974) debutta all’inizio degli anni novanta realizzando un video sulla cantante libanese Carla (allora esordiente e poi divenuta molto famosa in patria) e prosegue come autrice di spot commerciali per approdare infine al cinema come attrice (2005 con il film Bosta). Nel 2007 dirige e interpreta il suo primo lungometraggio (Caramel) - protagoniste alcune donne che in un salone di bellezza conversano sulla loro quotidianità - rivelando doti registiche tali da essere selezionata per il Festival di Cannes. Seguono E ora dove andiamo? (2011) in cui in un villaggio libanese le donne cercano di attenuare le tensioni religiose tra cristiani e musulmani, Milagre (episodio del film Rio, eu te amo) nel 2014e Capharnaüm nel 2018 che la consacra al successo internazionale con i due premi a Cannes 2018 (Giuria e Giuria Ecumenica) e la candidatura nella rosa quale miglior film straniero nell’edizione 2019 dei Premi Oscar, Golden Globe, BAFTA e Cesar. L’interesse della Labaki - anche quando ha i toni della commedia (Caramel) - in questi primi film è rivolto alle donne del suo Paese nella loro vita quotidiana e alle difficili condizioni di un’infanzia deprivata della gioia di vivere dalla miseria e dall’emarginazione sociale.

Il Titolo
Cafarnao è una parola di origine ebraica il cui significato è “confusione di molta roba alla rinfusa” e a tratti il film non lo smentisce. Termine che deriva dalla cittadina di Cafarnao (in ebraico Kefar Nahum)in Galilea vicina al lago di Tiberiade, scelta - secondo i Vangeli - da Gesù come centro della sua predicazione dopo aver abbandonato Nazareth. È il luogo in cui sono avvenuti molti miracoli e dove le folle accorrevano in modo confuso per ascoltare il Messia (da qui, forse, la seconda insulsa parte del titolo del film nell’edizione italiana). Per la cronaca Cafarnao è stata abbandonata nei secoli successivi e i suoi resti (tra cui una sinagoga del II secolo e una casa identificata come quella di San Pietro) trovati dagli archeologi nel XIX secolo.

Il Commento
Cafarnao - sebbene abbia alcuni limiti specialmente nel finale - è uno splendido film commovente e amaro, poetico nell’amore che comunque Zain ha in sé e che è pronto a riversare verso chi ne ha bisogno (la sorella, il piccolo Yonas) e duro nel denunciare i diritti negati all’infanzia, la condizione femminile, l’emarginazione sociale, la tragedia di sperare di avere un futuro solo emigrando… Per i cinefili più accaniti e per gli anziani il film ricorda quelli della grande stagione del neorealismo italiano anche se la Labaki non ha certo lo stile e lo spessore artistico di un De Sica o di un Rossellini. Simile è però la volontà di documentare in modo asciutto situazioni al limite della tragedia senza retorica, toni declamatori o predicatori e senza alcuna intenzione di cercare di ricattare i buoni sentimenti del pubblico come sostenuto da alcuni critici forse condizionati dal premio assegnato al film dalla Giura ecumenica. In realtà Cafarnao è un film scomodo e forse accusare la regista di aver fatto un melò è un modo per continuare a ignorare l’essenza dei terribili problemi posti di fronte alle nostre coscienze con brutale chiarezza. È, infatti, più comodo ignorare che in alcuni Stati (non solo il Libano) esistono persone mai registrate a un’anagrafe, miriadi di ‘nessuno’ senza nessun diritto: lo Stato si accorge dell’esistenza di questi fantasmi solo quando infrangono le leggi. Ma che società sono quelle che permettono che bambine siano vendute come spose per quattro spiccioli (un paio di polli nel film), che sfruttano l’immigrazione (anche non clandestina) per avere lavoratori senza tutele, che fanno morire esseri umani in mare o li riconsegnano nelle mani degli aguzzini da cui sono fuggiti? Sono drammi della nostra epoca e non dei romanzi di Dickens o di Hugo e oggi come allora sono frutto della miseria, dell’ignoranza e della cupidigia di pochi. Il piccolo Zain ha forse 12 anni, ‘forse’ perché non è stato registrato all’anagrafe, e non è mai stato bambino perché ha dovuto arrangiarsi a sopravvivere tra i due milioni di abitanti di una città tormentata come Beirut (due milioni di abitanti censiti, ma quanti in realtà?), ma quanti sono nel mondo i bambini come Zain? Cafarnao è un film doloroso che costringe a riflettere, ma non è un film disperato: un sottile filo di speranza lo percorre ed è nella volontà di Zain di reagire (non solo citando in giudizio i genitori per averlo fatto nascere sapendo di non potergli dare una vita decente), ma per la sua capacità e volontà di dedicarsi agli altri. Nadine Labaki guida con notevole sicurezza un cast di non attori raccolti nelle strade di Beirut che recitano vicende spesso simili alle proprie, come il bravissimo Zain al-Rafeaa (Zain) che è stato davvero uno dei tanti disperati privi d’identità, che non hanno mai visto un’aula scolastica, costretti a cercare un futuro a rischio della vita e che - forse grazie a Cafarnao - sembra aver trovato finalmente un sorriso in Norvegia.

scheda tecnica a cura di Salvatore Longo

 



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